domenica 22 novembre 2009


Il Viaggio


Dalle epoche più antiche ai tempi moderni sono in molti ad aver sentito l'esigenza di descrivere spostamenti vissuti in prima persona, riferiti o creati dalla fantasia. Tutti sono concordi nell'ammettere che il viaggio significa allontanamento da ciò che è conosciuto e familiare e che, attraverso l'esperienza del diverso, si arriva a una nuova o maggior consapevolezza di sé (già Omero definiva Odisseo l'uomo più saggio per il fatto che "di molti uomini vide le città e conobbe la mente"). La differenza tra i vari resoconti consiste nell'atteggiamento mentale con cui il viaggio viene affrontato: se nell'antichità esso è concepito come una penitenza, una necessità che, imposta solitamente dagli dei, genera sofferenza, nel Medioevo assume tutt'altro significato e diventa piuttosto simbolo di libertà. Bisogna però aspettare l'età rinascimentale perché partire diventi un'azione totalmente volontaria, un mezzo, nelle intenzioni di chi lo compie, per appagare la propria sete di conoscenza. È spia di questo nuovo atteggiamento il fatto che Gian Battista Ramusio, un nobile veneziano vissuto nel XVI secolo, abbia raccolto e pubblicato in un'opera mastodontica non solo i memoriali di viaggio di personaggi di cultura, educati al pensiero umanistico, ma anche le lettere di semplici marinai. E ciò per soddisfare la curiosità dei contemporanei in merito alle Indie Orientali e a quelle Occidentali di recente scoperta. Si deve attendere il Settecento, con il Grand Tour, e soprattutto l'Ottocento, con le spedizioni scientifiche, perché il diario di viaggio diventi uno strumento atto a segnalare e a catalogare tutto ciò che viene osservato nei viaggi d'istruzione nel primo caso, in terre nuove e inesplorate nel secondo.



Il viaggio più antico
Con i suoi cinquemila anni, il canto di Gilgamesh costituisce il più antico poema epico che sia mai stato scritto. Ciononostante, stupisce per la modernità con la quale vengono affrontati alcuni temi, primi tra tutti l'amicizia e il viaggio. È parere di numerosi studiosi che l'opera abbia costituito un modello per i grandi maestri dell'epica classica, da Omero (si vedano la descrizione del rapporto che lega Achille e Patroclo e la narrazione delle peregrinazioni di Odisseo) a Virgilio (l'episodio di Eurialo e Niso e, più in generale, l'errare di Enea e dei troiani superstiti).Ciò che interessa approfondire in questa sede è il motivo del viaggio, percepito dagli antichi come una fatica, una vera e propria attività che logora. Nell'epopea del sovrano di Uruk ce ne sono ben due. Il primo, compiuto da Gilgamesh ed Enkidu, ha come fine la riduzione dell'eccessiva energia del sovrano e del suo desiderio smodato di guerra e donne. Il secondo, che vede protagonista il solo Gilgamesh, pur essendo stato intrapreso per la conquista dell'immortalità, finisce con il portare all'eroe un bene più prezioso, la saggezza. Infatti, con le privazioni a cui lo sottopone, il viaggio determina un profondo cambiamento nella personalità del sovrano e lo rende un uomo saggio, più riflessivo e maturo, adatto a regnare. Come accade a Odisseo (il riferimento è d'obbligo), Gilgamesh deve passare attraverso l'abbrutimento, deve cadere in uno stato di prostrazione fisica e spirituale per poi riacquistare tutti i connotati regali. Uno degli episodi più importanti riporta il momento in cui Gilgamesh bussa alla porta di Siduri, la taverniera e narra le gesta che ha compiuto ma si vede rispondere con molta ironia che il suo stato non è propriamente quello di un re, poiché è ricoperto di polvere, veste una pelle di leone e ha le "guance scavate e il volto affranto".Solo dopo l'incontro con Uta-Napistim l'eroe può riprendere l'aspetto di un sovrano (l'episodio presenta strette analogie con quello di Odisseo alla corte dei Feaci). Fuor di metafora, la vestizione di Gilgamesh assume le connotazioni di un ritorno alla regalità, dell'ingresso in una nuova dimensione psicologica e sociale. L'eroe perde l'arroganza che l'aveva caratterizzato fin dai primi versi del poema e acquista una melanconia che lo rende più umano, sicuramente più vicino a un eroe moderno. Insomma, il viaggio, che a tutta prima può sembrare una perdita, finisce con il rivelarsi un'acquisizione, o meglio, una riscoperta di quelle caratteristiche presenti in potenza nell'animo dell'eroe (il coraggio, la forza, la curiosità, la sensibilità, la predisposizione alla sapienza e quindi alla saggezza), ma tradotte in atto solo dopo un lungo patire.