martedì 15 dicembre 2009

IL Mito del Minotauro


Il mito ci porta a Cnosso, sull'isola di Creta dove, in un favoloso palazzo, viveva il re Minosse. Un giorno Poseidone inviò sull'isola un magnifico toro bianco perché Minosse lo sacrificasse, ma questi si rifiutò di ucciderlo. Il dio ne fu tanto oltraggiato che fece perdutamente innamorare del toro a lui destinato la regina Pasifae. Con l'aiuto di Dedalo, che costruì per lei una giovenca di legno entro la quale celarsi, la regina attirò a sé il toro bianco.Frutto di questa unione nacque una orrenda creatura dal corpo di uomo e testa di toro, il Minotauro: Dedalo fu incaricato di costruire una prigione sicura per il mostro. Realizzò una struttura formata da un tale intrico di strade che chiunque vi entrasse non potesse più uscirne: il dedalo, appunto. Il Minotauro si cibava esclusivamente di carne umana: furono gli esiti della guerra tra Creta e Atene a offrire la soluzione a questo problema. Quella di Atene fu una resa senza condizioni: Minosse poté imporre, tra l'altro, di inviare sull'isola ogni nove anni sette ragazzi e sette fanciulle da sacrificare al mostro.Così, alla scadenza stabilita, a primavera una nave nera dalle vele nere salpava dal Pireo con a bordo i quattordici giovani ateniesi, finché Teseo, figlio del re Egeo, non decise di fare qualcosa per porre fine a questa condanna. Partì per Creta con gli altri giovani destinati al Minotauro, nonostante le proteste del padre, convinto che non lo avrebbe più rivisto. Teseo gli promise che se l'impresa fosse riuscita, la nave sarebbe rientrata spiegando delle vele bianche. Giunta a Creta, i giovani vennero accolti con un sontuoso banchetto, durante il quale la principessa Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di Teseo e decise di salvarlo: gli diede una spada con la quale uccidere il mostro e un gomitolo di filo da utilizzare per poter ritrovare l'ingresso del dedalo. Teseo riuscì a uccidere il Minotauro e Arianna aprì a lui e alle altre vittime la grande porta di bronzo all'uscita.Così Teseo, i suoi giovani compagni e Arianna ripartirono alla volta di Atene. Arianna fu però abbandonata sull'isola di Nasso e Teseo, dimentico della promessa, arrivò ad Atene con la nave dalle vele ancora nere: Egeo non resse al pensiero di aver perso il figlio e si gettò da Capo Sunio in quel mare che da lui prese il nome.

Il labirinto


Cos'è il labirinto?
Il labirinto è formato da un unico corridoio che procede dalla parte esterna al centro di una spirale (labirinto unicursale): è comunque un percorso faticoso, ma prima o poi, dopo allontanamenti e riavvicinamenti successivi, se ne raggiunge il centro.Nell'accezione comune prevale l'uso del termine "labirinto" anche per indicare il dedalo, dal nome del mitico costruttore della struttura che custodiva il Minotauro. Il dedalo è una via fatta di biforcazioni, crocicchi o cammini ciechi, un intrico di corridoi, stradine e percorsi alternativi, uno solo dei quali conduce al centro della struttura e ne rende particolarmente difficile l'orientamento, nonché il raggiungimento dell'uscita.Il significatoIl labirinto rappresenta simbolicamente il viaggio nell'al di là e ritorno: entrarvi è la morte, uscirne la rinascita. Dal momento stesso in cui l'uomo ha iniziato a rappresentare visivamente il proprio mondo, ha inteso la vita come qualcosa di caotico, complesso, ma non per questo scollegato dal resto dell'universo. La storia conosce diverse varianti, ma il viaggio al centro del labirinto o del dedalo è sempre un simbolo della danza della vita e della morte. I Maya, per esempio, intendevano il labirinto come una spirale che collegava in un percorso non privo di significati la nascita, la fertilità e la morte.Il viaggio che si compie lungo un percorso sacro costituisce un rituale mistico che si ritrova in tutte le tradizioni spirituali. È una meditazione che rasserena la mente ed evoca un sentimento sacro di appartenenza e completezza. Può essere difficile guardare l'andamento a spirale di un labirinto; entrare fisicamente nei suoi meandri può disorientare, ma si tratta solo di un'illusione: in realtà avvicina alla comprensione del mistero del cosmo.Camminare nel labirinto è una metafora della vita. Alla fine del percorso bisognerebbe sempre riflettere sull'esperienza vissuta: i pensieri e le immagini che sono venuti in mente, la difficoltà nel seguire il percorso, le persone incontrate durante il cammino e le modalità di relazione con esse. Il comportamento e i pensieri che hanno contrassegnato il vostro viaggio vi sveleranno qualcosa del vostro modo di vivere.

il viaggio e la fantasia


Il mondo e la fantasia.
Il viaggio può anche essere una narrazione fantastica ambientata in un contesto reale: l'esempio più noto è quello dell'Odissea di Omero (sec. VIII a.C.), in cui le straordinarie vicende che segnano il ritorno dell'eroe navigatore coinvolgono mostri e divinità ma hanno come sfondo le isole e le coste del mar Mediterraneo. A questo poema si è ispirata in gran parte l'epica successiva: Apollonio Rodio (295 - 215 a.C.), autore delle Argonautiche, narra il viaggio nel mar Nero degli eroi greci alla conquista del vello d'oro e Virgilio (70 - 19 a.C.) imposta l'Eneide sull'accidentato cammino di Enea da Troia distrutta verso I'ltalia. Abbastanza vicina a questo modello è la novellistica medievale, specialmente nelle Mille e una notte, il cui nucleo centrale è costituito dalle peripezie di Sindbad il marinaio. Dopo le grandi scoperte geografiche anche la creazione fantastica ha assunto come punto di riferimento una dimensione più ampia (come testimonia il poema epico I Lusiadi del portoghese Luiz Vaz de Camões, 1525- 1580), in cui emerge il gusto per l'esotismo e il confronto tra il modo di vivere europeo e le civiltà più lontane e sconosciute. Nel romanzo Robinson Crusoe di Daniel Defoe (1660 - 1731) all'ambiente misterioso e selvaggio dell'isola tropicale si oppone la razionalità europea del marinaio. Di natura fantastica e filosofica è la peregrinazione tra Europa e nuovo mondo del Candido ovvero l'ottimismo di Voltaire (1694 - 1778). L'800 romantico, se da un lato si sente attratto dagli orizzonti lontani ed esotici (Atala o gli amori di due selvaggi nel desèrto e Itinerario da Parigi a Gerusalemme) di Francois René de Chateaubriand, 1768 - 1848; Il viaggio in Oriente di Gérard de Nerval, 1808-1855) e arcanamente inquietanti (Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, 1809 - 1849), dall'altro scopre I'ltalia come destinazione dei viaggi dei suoi personaggi: celebre è il Pellegrinaggio del giovane Aroldo di George Gordon Byron (1788 - 1824). Una grandiosa metafora di una lotta strenua contro forze ignote e malefiche è la lunga caccia alla balena bianca in Moby Dick di Herman Melville (1819-1891). Nella seconda metà del secolo la letteratura positivista è affascinata dalla potenza dei moderni mezzi di trasporto: ne è un esempio Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne (1828- 1905). Nel mondo sempre più esplorato e conosciuto c'è meno posto per avvenimenti strabilianti, ma il viaggio conserva e sotto certi aspetti accentua il proprio carattere simbolico: in La linea d'ombra di Joseph Conrad (1857- 1924) la navigazione rappresenta il percorso verso la responsabilità, nella Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini (1908 - 1966) è una riscoperta delle ragioni della vita, in La luna e i falò di Cesare Pavese ( 1908 - 1950) è la presa di coscienza delle proprie radici, nelle pagine di Sulla strada di Jack Kerouac (1922 - 1969) è la scelta estrema della libertà.

Il viaggio in Italia
L'Italia era solitamente l'ultima tappa del Grand Tour: culla della tradizione artistica europea, paese celebrato da poeti e prosatori, sede dello stato papale, terra di grandi e potenti città come Venezia, essa costituiva il vero obiettivo di tutti i viaggiatori dell'epoca. Raramente si giungeva per mare o attraverso quella che veniva chiamata la "Cornice", cioè la via che per la sua strettezza non era percorribile dalle carrozze e che da Nizza, passando per Monaco, portava a Genova. Più frequentemente l'accesso avveniva attraverso le Alpi: chi arrivava dalla Francia valicava il Moncenisio, dalla Svizzera i passi del Piccolo e del Gran San Bernardo, del San Gottardo e del Sempione, dagli stati germanici il Brennero e il Resia.
Tutti i viaggiatori si dicevano angosciati all'idea di dover percorrere gli stretti e malagevoli sentieri, spesso a dorso di mulo, in portantina o su slitte. Il cammino veniva percorso con grande lentezza, onde evitare di cadere in scoscesi dirupi. Quello che emerge nella maggior parte dei diari di viaggio è una viva preoccupazione che si ridestava a ogni buca o scossone, ma soprattutto il senso della propria nullità di fronte alla vastità e all'imponenza del paesaggio montano. Per lo più da Genova ci si spostava in Toscana, a Livorno, quindi a Pisa, a Lucca e a Firenze. Questa regione era la più apprezzata dagli inglesi per la mitezza del clima e per la dolcezza del paesaggio, perché luogo di divertimento, riposo e, nello stesso tempo, cultura. Da qui si arrivava a Roma, la città eterna in cui si sostava per settimane, a volte per mesi: si visitavano i musei, i resti archeologici, i fori e le ville. Successivamente ci si recava a Napoli, centro urbano popolato da gente festosa, luogo dove trovare serate mondane e vita notturna, passeggiate sul lungomare tra bancarelle illuminate e colorate. I visitatori si dicevano colpiti dalle bellezze naturali che si alternavano alle antiche rovine (spesso si notava che il paesaggio vulcanico del Vesuvio faceva da sfondo agli scavi di Pompei ed Ercolano).
Una volta arrivati a Paestum si cominciava a risalire. Non ci si spingeva quasi mai in Calabria, raramente si arrivava in Sicilia e, quando ciò accadeva, ci si limitava a seguire in barca le coste dell'isola, approdando nelle località più note. La Sicilia, infatti, era tristemente nota per il pessimo stato delle vie di comunicazione e per la quasi totale assenza di locande. Una volta lasciato il territorio di Napoli, dunque, ci si dirigeva ad Ancona, quindi al santuario di Loreto, a Ravenna, a Bologna e a Ferrara. Venezia, in particolare, attraeva i grand tourist: proprio in questo periodo la città lagunare assunse agli occhi dei visitatori un'aura mitica, le descrizioni che riguardano le sue istituzioni e il suo popolo erano il più delle volte lontane dalla realtà, frutto di stereotipi radicati (i diari di viaggio di questo periodo, infatti, crearono un mercato librario destinato a dar vita a tanti luoghi comuni). Venezia era celebrata come ex potenza marittima e commerciale, indipendente dal papato, luogo dove trovare stabilità di governo e dove si perseguiva una politica di pace. Dopo Venezia ci si dirigeva a Padova, a Verona e, infine, a Milano e a Torino. Queste tappe, tutte convenzionali, erano scandite in base alle stagioni e alle festività: si evitava, ad esempio, di passare le Alpi durante l'inverno, mentre ci si premurava di essere a Venezia in occasione del Carnevale o per l'Ascensione, a Roma per la Settimana Santa. Questo percorso era suscettibile di varianti, anche se per lo più il viaggiatore seguiva itinerari standardizzati e visitava i luoghi più famosi: molto raramente, infatti, si avventurava per strade sconosciute.
Gli interessi umanistici, storici e antiquari che spingevano tanti giovani a visitare l'Italia erano così forti da far passare in secondo piano tutti i disagi del viaggio: tempo inclemente, stazioni di posta poco numerose (ci sono rimaste testimonianze di viaggiatori costretti a passare la notte all'addiaccio), periodi di quarantena da trascorrere isolati quando si diffondeva qualche epidemia (tra i documenti che i grand tourist dovevano portare con sé c'era la cosiddetta "bolletta di sanità", un vero e proprio certificato medico), perquisizioni minuziose ed estremamente moleste da parte della polizia (che spesso doveva essere corrotta per lasciar passare il viaggiatore in tempi brevi), senza dimenticare il pericolo costituito dai briganti che infestavano alcune delle vie di comunicazione più trafficate (le guide dell'epoca consigliavano di non portare con sé denaro contante, se non in minima parte e ben nascosto nelle fodere degli abiti, ma di preferire le cambiali). L'Italia esercitò un enorme fascino sui giovani viaggiatori stranieri, fascino vivo ancora oggi viste le migliaia di visitatori che ogni anno giungono nel nostro paese, attratti dalla sua fama di terra d'arte e di cultura.

Il viaggio nell Settecento e Ottocento


Il grand Tour


Il Settecento vede moltissimi giovani, per lo più inglesi, partire alla volta delle grandi città d'arte europee. Stiamo parlando del Grand Tour, un fenomeno che ha avuto origine in epoca elisabettiana, ma che vede il proprio massimo sviluppo nell'epoca dei lumi. Le sue origini vanno ricercate nella peregrinatio academica medievale, il viaggio che il giovane di nobile famiglia intraprendeva per un anno nelle città universitarie più note, in particolare Bologna e Parigi, al fine di concludere il proprio cursus studiorum. Nel Settecento il viaggio d'istruzione diventa una vera e propria moda che non solo gli aristocratici, ma anche gli appartenenti all'alta borghesia possono permettersi. I percorsi seguiti sono quelli tracciati e tramandati dalle migliaia di predecessori: i giovani rampolli del regno britannico, ad esempio, sono soliti recarsi nella Francia centrale, per poi giungere in quella meridionale e di lì, in Italia. I viaggiatori di altri stati, che sono in numero inferiore rispetto agli inglesi, seguono percorsi diversi: i francesi amano visitare l'Inghilterra, la Germania e l'Italia, gli spagnoli la Francia, la Germania e l'Italia, gli austriaci e i tedeschi il Belgio, l'Olanda, l'Inghilterra, la Francia, la Spagna e l'Italia. Il nostro paese segna l'epilogo del viaggio e, nello stesso tempo, il vero obiettivo, in quanto luogo d'origine del pensiero classico, custode di preziose testimonianze che l'archeologia, proprio in questo periodo, ha cominciato a riportare alla luce (si pensi solo agli scavi di Pompei). Ma che cosa spinge tutti questi giovani a intraprendere viaggi lunghi e disagevoli? Sicuramente si può parlare della volontà di procurarsi una formazione completa in vista della futura carriera: una volta tornati in patria, la cultura cosmopolita acquisita durante il passaggio in terre straniere, permetterà loro di ricoprire svariati incarichi nelle strutture burocratiche e amministrative del proprio paese. Si tratta insomma di un vero e proprio rito di iniziazione che trasforma il giovane adolescente (di norma tra i sedici e i ventidue anni) in adulto, facendogli fare esperienza delle cose del mondo e preparandolo a diventare un buon burocrate, un diplomatico svezzato o un militare eccellente. La classe dirigente del Settecento considera il Grand Tour un mezzo per conoscere costumi e lingue straniere, una palestra in grado di far acquisire ai giovani sicurezza, intraprendenza e coraggio, una prova che sviluppa in chi la affronta uno spirito cosmopolita, un modo, insomma, per rinnovarsi nello spirito e per crescere.
Il viavai di grand tourist fa sì che nell'arco di pochi decenni vengano prodotte, oltre ad un numero infinito di guide, numerosissime relazioni di viaggio con struttura diaristica o epistolare. È una pratica quasi obbligatoria tenere un diario e, chi scrive, deve dimostrare di possedere le competenze di un geografo, di un economista, di uno studioso dell'arte, di un agronomo e di un antropologo: di tutte quelle scienze che il cursus studiorum precedente il viaggio dovrebbe insegnare. Le regole seguite nella stesura di questi resoconti vengono fissate nel Settecento: prima di tutto il diario di viaggio deve unire l'utile al dulce, deve cioè fornire informazioni sulle terre e i popoli visitati, senza risultare però pedante, deve divertire e suscitare la fantasia del lettore, senza ricorrere al romanzesco o all'invenzione. Spesso è suddiviso in due parti: la prima descrive pedissequamente città, popoli, clima, economia, costumi e conformazione del territorio, la seconda, redatta nelle intenzioni degli autori per amici e familiari, riporta le avventure occorse durante il viaggio, gli incidenti di percorso, i piccoli aneddoti, tutti quegli episodi avventurosi che potrebbero destare la fantasia, rendendo gradevole la lettura. Entrambe le parti devono riportare dati derivati dall'osservazione della realtà, non il meraviglioso che ha caratterizzato tanta letteratura odeporica precedente. Se le regole per la stesura dei memoriali di viaggio scoraggiano l'introduzione della soggettività e dei sentimenti, nel Settecento l'io narrante emerge fino ad assumere una parte preponderante in quello che viene definito "viaggio sentimentale" (il più famoso è quello di Sterne, tradotto da Foscolo sotto lo pseudonimo di Didimo Chierico). Lo stile sobrio di questi diari riflette la volontà di totale adesione alla realtà, al dato oggettivo, e rifugge da qualunque artificio retorico, tutte intenzioni che ritroveremo in chi, nell'Ottocento, farà parte delle spedizioni scientifiche, in quegli uomini che partiranno con l'unico scopo di catalogare e studiare i dati raccolti in giro per il mondo.

festival letteratura di viaggio



http://www.festivaletteraturadiviaggio.it/index.aspx

il viaggio nel Rinascimento


I Viaggi nel Rinascimento
La scoperta delle Americhe costituisce un punto di svolta per la storia dell'umanità: a essa seguono profonde revisioni nel campo dell'economia, della politica, della religione, nella sfera sociale e in tutte le forme di pensiero ereditate dagli antichi. Pensiamo, ad esempio, cosa può aver provocato nel mondo mercantile, la possibilità di tracciare nuove rotte, di esplorare terre che non avevano conosciuto fino a quel momento alcuno sfruttamento. Il desiderio di conoscere il nuovo continente cresce di giorno in giorno e spinge molti tra coloro che lo hanno visitato a redigere memorie di viaggio. Tali testi, a loro volta, fungono da cassa di risonanza e sollecitano altri occidentali ad andare ad appurare de visu quanto hanno letto.
Ci troviamo di fronte a due tipi di viaggiatore e, di conseguenza, a due tipi di racconti di viaggio: c'è il mercante che parte e annota tutto ciò che gli può tornare utile per il commercio e il guadagno. Ma c'è anche l'erudito che nutre un desiderio tutto umanistico di conoscenza. Gli scritti del primo non si discostano molto da quelli medievali di Marco Polo, sono solo più scrupolosi nel riferire le caratteristiche delle popolazioni incontrate e danno poco (o nessuno) spazio ai mirabilia, alle storie favolose e ai mostri leggendari che la tradizione vuole insediati ai confini delle terre abitate. Con il secondo, in particolare, nasce una nuova figura di viaggiatore: si tratta dell'esploratore che non è mosso dalla sete di guadagno, ma dalla pura e semplice volontà di studiare il mondo e di essere utile a chi vorrà seguire i suoi passi o, semplicemente, leggerne i resoconti standosene comodo a casa. Alla prima categoria, appartiene, ad esempio, Francesco Carletti, un fiorentino che narra di aver viaggiato per scopi commerciali e, successivamente, per recuperare la mercanzia sottrattagli da pirati olandesi. Della seconda fa parte invece Antonio Pigafetta, il nobile vicentino che segue Magellano nella sua circumnavigatio globi: entrambi sono comunque accomunati da un'osservazione rigorosa delle realtà con le quali entrano in contatto.
La letteratura di viaggio rinascimentale rivela una riscoperta di sé da parte dell'europeo: mentre le popolazioni aborigene vengono sistematicamente considerate primitive, l'occidentale, che acquista maggior consapevolezza della propria cultura e del proprio sviluppo, arriva a definirsi evoluto e moderno. Il viaggiatore del Vecchio Mondo osserva gli indigeni americani e nota che la maggior parte di loro non indossa abiti, non conosce la "vergogna" e la repressione sessuale, non ha leggi e tribunali, non fa uso del denaro, ma conosce solo il baratto. Costoro sono descritti come esseri timidi e generosi che vivono in uno stato pacifico, quasi edenico (nasce in questo periodo il mito del "buon selvaggio"), vicino, secondo le credenze del tempo, alla condizione originaria dell'uomo, prima che il tempo e le vicende storiche potessero corromperla. L'immagine del nuovo mondo ha molti punti in comune con quella della mitica età dell'oro tramandata dagli antichi.
Lungi dal voler esaurire in poche righe un argomento così complesso, anzi volendo sottolineare quello che le grandi scoperte hanno contribuito a operare nella nostra civiltà, si potrebbe dire che l'Europa tutta fu costretta a riflettere sull'immagine che aveva di sé, a considerare la propria storia come corruzione sì dell'innocenza originaria, ma anche come progresso, a non vedersi più in un perenne rapporto di inferiorità rispetto agli antichi, in particolare ai greci e ai romani, ma a considerarsi evoluta e matura. A ciò contribuirono tutti gli uomini che in quegli anni, per motivi disparati, viaggiarono in lungo e in largo attraverso gli oceani e la terraferma. Consapevoli osservatori e scrupolosi raccoglitori di dati, divennero veicolo di diffusione delle nuove conoscenze e anticiparono la figura del viaggiatore scienziato dei secoli successivi.