martedì 15 dicembre 2009

il Milione


Il Medioevo non è solo l'epoca dei fantasiosi viaggi cavallereschi narrati da Chrétien de Troyes, ma anche dei più realistici resoconti di viaggio mercantili. Tra questi ultimi, caratterizzati da un approccio quasi scientifico alla materia, spicca il Milione, o Libro delle Meraviglie, di Marco Polo. Ciò che balza subito agli occhi è la precisa volontà del veneziano di rendersi utile ad altri mercanti, fornendo loro notizie su usi e costumi di popoli sino ad allora sconosciuti (in questo non si discosta dai contemporanei). Nel prologo, Rustichello, che la tradizione considera trascrittore delle memorie del mercante veneziano, così si esprime "…però (Marco Polo) disse infra sé medesimo che troppo sarebbe grande male s'egli non mettesse in iscritto tutte le meraviglie ch'egli ha vedute, perché chi non le sa l'appari (le impari) da questo libro". Marco, infatti, non vuole descrivere solo le terre che ha visto, ma anche quelle di cui ha sentito parlare e riguardo alle quali è grande la curiosità dell'Occidente.Un altro atteggiamento che lo avvicina ai contemporanei si ritrova nella mescolanza di dati reali e racconti fantasiosi, anche se Marco Polo dichiara di volersi distinguere per una maggior aderenza alla realtà: "Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta (le genti e le differenti usanze orientali) in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'ha di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna". Nel Milione, insomma, convivono il meraviglioso, tipico della letteratura cortese, incline all'enfasi e alla mitizzazione, e la concretezza della mentalità mercantile del tempo. Ai dati inerenti alla flora e alla fauna del continente asiatico, alle usanze e alle lingue locali, alle arti e all'etnografia, al sistema monetario e al clima, tutti forniti con estrema precisione, se ne sovrappongono altri che nulla hanno a che fare con la realtà. Il lettore può quindi venire a conoscenza delle usanze di alcuni popoli, riportate come in una cronaca, senza che Marco Polo esprima il benché minimo giudizio moralistico, dimostrando anzi una grande apertura mentale (ad esempio quando parla delle abitudini sessuali degli abitanti del Tibet). Ma può ascoltare anche la leggenda dei Re Magi, che il veneziano considera vera, la descrizione fantasiosa della città di Quisai e quella ancor più fiabesca del palazzo del Gran Khan, senza dimenticare il passo in cui si narra del mitico Cipangu, il Giappone. Secondo alcuni studiosi questa dicotomia nell'approccio alla realtà va attribuita a Rustichello da Pisa, autore di romanzi cavallereschi che, come già si è avuto modo di dire, trascrisse in carcere sotto dettatura le memorie del compagno di cella. A lui, alla sua mentalità cortese cioè, sarebbero attribuibili tutti quegli elementi avventurosi e pittoreschi che si discostano dalla realtà.Al di là delle possibili disquisizioni, quel che a noi importa sottolineare resta, comunque, la frattura che il Milione segna nella storia della letteratura odeporica medievale: cronaca, trattato scientifico e romanzo, esso costituisce una tappa fondamentale verso i resoconti di viaggio rinascimentali, intrapresi in nome della scoperta, della soddisfazione della curiosità e del desidero di apprendere.
Il Veglio della Montagna
Marco Polo, come i suoi contemporanei, è affascinato dall'Oriente, dai personaggi che ne hanno fatto la storia e dai racconti spesso favolosi che di loro si narrano in Occidente. Spiccano tra questi, la figura del Prete Gianni, sovrano di un popolo di eretici cristiani dell'India, del Qubilai Khan, potente reggitore dell'impero gengiskhanide, e del Veglio della Montagna, capo di una setta ismaelita. La descrizione di quest'ultimo, in particolare, è significativa: Marco Polo si trova a parlare dei tradizionali nemici della civiltà cristiana e dimostra ancora una volta grande apertura mentale. Infatti, limita i giudizi e mostra solo di voler comprendere ciò che percepisce diverso dalla cultura medievale cristianocentrica dell'Europa.Il mercante veneziano non attraversa il territorio dove i seguaci del Veglio della Montagna erano insediati, ovvero la provincia persiana del Mazanderan, nella parte meridionale del Mar Caspio. Si limita a riferire ciò che di loro si favoleggia, utilizzando toni fiabeschi e riportando notizie ben lontane dalla realtà. È necessario inoltre aggiungere che quando la famiglia Polo si mette in viaggio, la setta non esiste più da diversi anni: nel 1256 Hulagu Khan ne ha ucciso l'ultimo capo e ne ha disperso i seguaci sopravvissuti. In Europa, tuttavia, la sua fama non si è ancora spenta, e il fatto che Marco Polo vi dedichi ben tre capitoli lo dimostra. Fondata nel 1090 da Hassan Sabbah, non segue i precetti di Maometto, ma gli ordini del proprio capo, inoltre pratica l'omicidio organizzato come strumento politico. Nell'arco dei decenni, gli Assassini uccidono potenti signori musulmani e califfi, attentano alla vita del Saladino, del principe d'Inghilterra Edoardo e del Gran Can dei Tartari, suscitando anche la preoccupazione di Federico II e del re di Francia, Luigi IX. La loro strategia consiste nell'entrare a far parte del seguito della vittima per ucciderla dopo aver ricevuto l'ordine. La missione termina il più delle volte con il sacrifico della vita. Si capisce quindi come la loro fama abbia raggiunto e affascinato l'Occidente e per quale motivo Marco Polo senta l'esigenza di parlarne. Egli dipinge le loro fortezze come veri e propri paradisi e racconta che il Veglio della Montagna ha trasformato un'arida valle in uno splendido giardino dove scorrono miele, latte e vino. Qui, all'interno di palazzi dorati, una corte sfarzosa è sempre occupata in canti e balli. Il Veglio attira giovani adatti alle armi, li droga (secondo alcuni il termine Assassini deriva da hashish) e fa loro credere di trovarsi nel paradiso promesso da Maometto. Disposti a compiere i delitti più efferati nel timore di perdere tutto ciò, i giovani cominciano un lungo apprendistato, vengono addottrinati con la lettura quotidiana di libri sacri e si danno all'uccisione di personaggi sempre più importanti. Insomma, la lotta per un ideale religioso contro l'islamismo sunnita dominante, la fedeltà assoluta al proprio signore che sconfina nella morte sicura, la ritualità degli omicidi (sempre compiuti con i coltelli), la ferocia nel portare a termine il compito, il fatto che i seguaci della setta vivano arroccati nei loro castelli sparsi sulle montagne e le dicerie sul loro addestramento sono tutti elementi che contribuiscono a diffondere la fama di quest'ordine e a dar vita a numerose leggende di cui l'autore del Milione è tra i principali testimoni.

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