martedì 15 dicembre 2009

Il viaggio nell Settecento e Ottocento


Il grand Tour


Il Settecento vede moltissimi giovani, per lo più inglesi, partire alla volta delle grandi città d'arte europee. Stiamo parlando del Grand Tour, un fenomeno che ha avuto origine in epoca elisabettiana, ma che vede il proprio massimo sviluppo nell'epoca dei lumi. Le sue origini vanno ricercate nella peregrinatio academica medievale, il viaggio che il giovane di nobile famiglia intraprendeva per un anno nelle città universitarie più note, in particolare Bologna e Parigi, al fine di concludere il proprio cursus studiorum. Nel Settecento il viaggio d'istruzione diventa una vera e propria moda che non solo gli aristocratici, ma anche gli appartenenti all'alta borghesia possono permettersi. I percorsi seguiti sono quelli tracciati e tramandati dalle migliaia di predecessori: i giovani rampolli del regno britannico, ad esempio, sono soliti recarsi nella Francia centrale, per poi giungere in quella meridionale e di lì, in Italia. I viaggiatori di altri stati, che sono in numero inferiore rispetto agli inglesi, seguono percorsi diversi: i francesi amano visitare l'Inghilterra, la Germania e l'Italia, gli spagnoli la Francia, la Germania e l'Italia, gli austriaci e i tedeschi il Belgio, l'Olanda, l'Inghilterra, la Francia, la Spagna e l'Italia. Il nostro paese segna l'epilogo del viaggio e, nello stesso tempo, il vero obiettivo, in quanto luogo d'origine del pensiero classico, custode di preziose testimonianze che l'archeologia, proprio in questo periodo, ha cominciato a riportare alla luce (si pensi solo agli scavi di Pompei). Ma che cosa spinge tutti questi giovani a intraprendere viaggi lunghi e disagevoli? Sicuramente si può parlare della volontà di procurarsi una formazione completa in vista della futura carriera: una volta tornati in patria, la cultura cosmopolita acquisita durante il passaggio in terre straniere, permetterà loro di ricoprire svariati incarichi nelle strutture burocratiche e amministrative del proprio paese. Si tratta insomma di un vero e proprio rito di iniziazione che trasforma il giovane adolescente (di norma tra i sedici e i ventidue anni) in adulto, facendogli fare esperienza delle cose del mondo e preparandolo a diventare un buon burocrate, un diplomatico svezzato o un militare eccellente. La classe dirigente del Settecento considera il Grand Tour un mezzo per conoscere costumi e lingue straniere, una palestra in grado di far acquisire ai giovani sicurezza, intraprendenza e coraggio, una prova che sviluppa in chi la affronta uno spirito cosmopolita, un modo, insomma, per rinnovarsi nello spirito e per crescere.
Il viavai di grand tourist fa sì che nell'arco di pochi decenni vengano prodotte, oltre ad un numero infinito di guide, numerosissime relazioni di viaggio con struttura diaristica o epistolare. È una pratica quasi obbligatoria tenere un diario e, chi scrive, deve dimostrare di possedere le competenze di un geografo, di un economista, di uno studioso dell'arte, di un agronomo e di un antropologo: di tutte quelle scienze che il cursus studiorum precedente il viaggio dovrebbe insegnare. Le regole seguite nella stesura di questi resoconti vengono fissate nel Settecento: prima di tutto il diario di viaggio deve unire l'utile al dulce, deve cioè fornire informazioni sulle terre e i popoli visitati, senza risultare però pedante, deve divertire e suscitare la fantasia del lettore, senza ricorrere al romanzesco o all'invenzione. Spesso è suddiviso in due parti: la prima descrive pedissequamente città, popoli, clima, economia, costumi e conformazione del territorio, la seconda, redatta nelle intenzioni degli autori per amici e familiari, riporta le avventure occorse durante il viaggio, gli incidenti di percorso, i piccoli aneddoti, tutti quegli episodi avventurosi che potrebbero destare la fantasia, rendendo gradevole la lettura. Entrambe le parti devono riportare dati derivati dall'osservazione della realtà, non il meraviglioso che ha caratterizzato tanta letteratura odeporica precedente. Se le regole per la stesura dei memoriali di viaggio scoraggiano l'introduzione della soggettività e dei sentimenti, nel Settecento l'io narrante emerge fino ad assumere una parte preponderante in quello che viene definito "viaggio sentimentale" (il più famoso è quello di Sterne, tradotto da Foscolo sotto lo pseudonimo di Didimo Chierico). Lo stile sobrio di questi diari riflette la volontà di totale adesione alla realtà, al dato oggettivo, e rifugge da qualunque artificio retorico, tutte intenzioni che ritroveremo in chi, nell'Ottocento, farà parte delle spedizioni scientifiche, in quegli uomini che partiranno con l'unico scopo di catalogare e studiare i dati raccolti in giro per il mondo.

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