martedì 15 dicembre 2009


Il viaggio in Italia
L'Italia era solitamente l'ultima tappa del Grand Tour: culla della tradizione artistica europea, paese celebrato da poeti e prosatori, sede dello stato papale, terra di grandi e potenti città come Venezia, essa costituiva il vero obiettivo di tutti i viaggiatori dell'epoca. Raramente si giungeva per mare o attraverso quella che veniva chiamata la "Cornice", cioè la via che per la sua strettezza non era percorribile dalle carrozze e che da Nizza, passando per Monaco, portava a Genova. Più frequentemente l'accesso avveniva attraverso le Alpi: chi arrivava dalla Francia valicava il Moncenisio, dalla Svizzera i passi del Piccolo e del Gran San Bernardo, del San Gottardo e del Sempione, dagli stati germanici il Brennero e il Resia.
Tutti i viaggiatori si dicevano angosciati all'idea di dover percorrere gli stretti e malagevoli sentieri, spesso a dorso di mulo, in portantina o su slitte. Il cammino veniva percorso con grande lentezza, onde evitare di cadere in scoscesi dirupi. Quello che emerge nella maggior parte dei diari di viaggio è una viva preoccupazione che si ridestava a ogni buca o scossone, ma soprattutto il senso della propria nullità di fronte alla vastità e all'imponenza del paesaggio montano. Per lo più da Genova ci si spostava in Toscana, a Livorno, quindi a Pisa, a Lucca e a Firenze. Questa regione era la più apprezzata dagli inglesi per la mitezza del clima e per la dolcezza del paesaggio, perché luogo di divertimento, riposo e, nello stesso tempo, cultura. Da qui si arrivava a Roma, la città eterna in cui si sostava per settimane, a volte per mesi: si visitavano i musei, i resti archeologici, i fori e le ville. Successivamente ci si recava a Napoli, centro urbano popolato da gente festosa, luogo dove trovare serate mondane e vita notturna, passeggiate sul lungomare tra bancarelle illuminate e colorate. I visitatori si dicevano colpiti dalle bellezze naturali che si alternavano alle antiche rovine (spesso si notava che il paesaggio vulcanico del Vesuvio faceva da sfondo agli scavi di Pompei ed Ercolano).
Una volta arrivati a Paestum si cominciava a risalire. Non ci si spingeva quasi mai in Calabria, raramente si arrivava in Sicilia e, quando ciò accadeva, ci si limitava a seguire in barca le coste dell'isola, approdando nelle località più note. La Sicilia, infatti, era tristemente nota per il pessimo stato delle vie di comunicazione e per la quasi totale assenza di locande. Una volta lasciato il territorio di Napoli, dunque, ci si dirigeva ad Ancona, quindi al santuario di Loreto, a Ravenna, a Bologna e a Ferrara. Venezia, in particolare, attraeva i grand tourist: proprio in questo periodo la città lagunare assunse agli occhi dei visitatori un'aura mitica, le descrizioni che riguardano le sue istituzioni e il suo popolo erano il più delle volte lontane dalla realtà, frutto di stereotipi radicati (i diari di viaggio di questo periodo, infatti, crearono un mercato librario destinato a dar vita a tanti luoghi comuni). Venezia era celebrata come ex potenza marittima e commerciale, indipendente dal papato, luogo dove trovare stabilità di governo e dove si perseguiva una politica di pace. Dopo Venezia ci si dirigeva a Padova, a Verona e, infine, a Milano e a Torino. Queste tappe, tutte convenzionali, erano scandite in base alle stagioni e alle festività: si evitava, ad esempio, di passare le Alpi durante l'inverno, mentre ci si premurava di essere a Venezia in occasione del Carnevale o per l'Ascensione, a Roma per la Settimana Santa. Questo percorso era suscettibile di varianti, anche se per lo più il viaggiatore seguiva itinerari standardizzati e visitava i luoghi più famosi: molto raramente, infatti, si avventurava per strade sconosciute.
Gli interessi umanistici, storici e antiquari che spingevano tanti giovani a visitare l'Italia erano così forti da far passare in secondo piano tutti i disagi del viaggio: tempo inclemente, stazioni di posta poco numerose (ci sono rimaste testimonianze di viaggiatori costretti a passare la notte all'addiaccio), periodi di quarantena da trascorrere isolati quando si diffondeva qualche epidemia (tra i documenti che i grand tourist dovevano portare con sé c'era la cosiddetta "bolletta di sanità", un vero e proprio certificato medico), perquisizioni minuziose ed estremamente moleste da parte della polizia (che spesso doveva essere corrotta per lasciar passare il viaggiatore in tempi brevi), senza dimenticare il pericolo costituito dai briganti che infestavano alcune delle vie di comunicazione più trafficate (le guide dell'epoca consigliavano di non portare con sé denaro contante, se non in minima parte e ben nascosto nelle fodere degli abiti, ma di preferire le cambiali). L'Italia esercitò un enorme fascino sui giovani viaggiatori stranieri, fascino vivo ancora oggi viste le migliaia di visitatori che ogni anno giungono nel nostro paese, attratti dalla sua fama di terra d'arte e di cultura.

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